Anche quest’anno, purtroppo, poche decine di persone insceneranno la solita lugubre sfilata silenziosa per
“ricordare le vittime delle foibe e del comunismo”, condita da tricolori, croci celtiche, bandiere neoirredentiste
e saluti romani. Insieme ai rampolli della destra fiorentina ci saranno, ovviamente, i vertici del
PDL.
L’istituzione della Giornata del Ricordo rappresenta un punto di svolta di quel lungo processo chiamato
“revisionismo storico”: un processo che mira alla tanto sbandierata “pacificazione nazionale”, da ottenersi
mediante una “memoria condivisa”, basata su una metodica falsificazione delle verità storiche. Una
falsificazione che avviene per mano dei politici, di destra e di centro-sinistra, che strumentalizzano un
fenomeno svincolandolo dal suo contesto storico e gonfiandone a dismisura i numeri (Gasparri è arrivato
a sostenere addirittura che gli infoibati fossero milioni!), e per mano di alcuni “storici”, incapaci o in
malafede.
Il fenomeno delle foibe può essere infatti compreso solo se lo si colloca nella sua reale dimensione
storica. La Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia entrarono a far parte dell’Italia, a dispetto della loro
composizione etnica, come compenso per aver combattuto a fianco dell’Intesa nella Prima Guerra
Mondiale. L’avvento di Mussolini inaugurò il cosiddetto “fascismo di frontiera” (in piena continuità con
la politica dei liberali): vale a dire una serie di provvedimenti di italianizzazione forzata del confine
orientale, che portarono alla chiusura di scuole croate e slovene, all’imposizione dell’italiano nei giornali
e nei tribunali, fino all’italianizzazione dei cognomi e della toponomastica). Come se non bastasse,
nell’aprile del ’41 l’Italia partecipò all’occupazione nazista della Jugoslavia, rendendosi protagonista di
omicidi, stupri e rastrellamenti, di incendi di interi villaggi e dell’internamento di migliaia di civili in
campi di concentramento (come ordinava la “famosa” circolare 3c del gen. Mario Roatta). E’ in questo
quadro esasperato che ebbe luogo l’episodio delle foibe. Questo va inoltre diviso in due episodi distinti.
Quello del settembre ’43, quando, secondo fonti nazifasciste, i morti furono 3-400 (le salme recuperate
furono 200), nelle stesse zone che, temporaneamente in mano ai partigiani di Tito (giuridicamente al
fianco degli Alleati e contro i Repubblichini!), furono riconquistate al prezzo di 13mila morti tra militari e
civili. Questo fenomeno può quindi essere definito come un episodio di giustizia sommaria delle persone
più compromesse con il regime fascista (se i partigiani avessero voluto fare “pulizia etnica” degli italiani,
il numero dei morti sarebbe stato non poco più alto). L’altro episodio fu quello del maggio ’45, dove gli
scomparsi furono invece 500, regolarmente arrestati e giudicati da un Tribunale Militare (della maggior
parte di essi, che furono fucilati, è accertata la loro passata appartenenza a forze militari o
collaborazioniste del nazifascismo). Delle vendette personali (e ce ne furono in tutta Europa, nei mesi
successivi alla fine della guerra) non possono essere certo resi responsabili un movimento di liberazione
intero né, tanto meno, un popolo.
E’ così che membri di milizie fasciste, civili collaborazionisti e delatori diventano “innocenti la cui unica
colpa era quella di essere italiani e non vergognarsene”, così come i Repubblichini diventano “bravi
ragazzi animati da un non comune amore per l’Italia”, da equiparare ai partigiani liberatori. La Giornata
del Ricordo diventa invece la giornata dell’orgoglio fascista, ufficialmente legittimato dal riconoscimento
dello Stato, e il punto culminante di quell’operazione di sdoganamento che permette a questa feccia di
candidarsi alle elezioni con il PDL (come il leader di Forza Nuova Fiore), di scorrazzare per le nostre città
aggredendo migranti, omosessuali e militanti di sinistra, di mettere in atto raid punitivi contro i lavoratori
in lotta (vedi il caso dell’Eutelia, a Roma) e, in ultimo, di diffondere un’ideologia autoritaria, dell’ordine e
della sicurezza. E’ questo il ruolo dei fascisti, lo era prima del ’22, lo era negli anni della strategia della
tensione e lo è ancora adesso: da una parte intimorire e reprimere chi lotta (protetti e spalleggiati dalle
forze dell’ordine), dall’altra fare proseliti, in tempi di crisi economica, attraverso una propaganda populista
e razzista, affinché chi ogni giorno lucra sulle nostre vite e sul nostro lavoro mantenga inalterati i suoi
immensi profitti e continui a manovrarci dall’alto.
Non lasceremo che mentre i nostri compagni muoiono e soffrono nelle carceri, mentre quattro lavoratori
al giorno non tornano a casa dalle loro famiglie per una miseria, i fascisti, vecchi, nuovi e ripuliti,
ostentino i loro vergognosi simboli e sfilino per la nostra città diffondendo odio e xenofobia.
6 FEBBRAIO PRESIDIO ANTIFASCISTA H 16
P.ZZA DELLA COSTITUZIONE – FIRENZE
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